enovecentocinquanta reprise
(just like “Honey, let’s go!”)
Se non fosse che qui si impiega il tempo anche in iniziative cinematografiche interessanti avreste letto su queste righe una gustosa dissertazione su 13 + God. In mancanza di ciò, ritorno sull’argomento nuovo singolo dei R(ave)onettes , visto che qui ci si è innamorati del suddetto oggetto di 194 secondi e si fa penitenza per aver apostrofato in passato il duo con il nome di Raviolones.
Si ritorna sull’argomento perché Ode to L.A. è più della canzone semplice che sembra, perché parla di un ‘posto col sole’ e chi nasce in un ‘posto col sole’ finge di amare la malinconia metereologica, perché è una tesi a orologeria sull’amore per i propri miti musicali che funziona più di un inutile saggio breve sulle ossessioni da cui non si può scappare.
Ode to L.A. contiene decenni di musica in carne e ossa e effetti e muri di suono. La batteria di Moe Tucker dei Velvet Underground si mimetizza influente con il pop dei gruppi di Phil Spector e della California dei Beach Boys, si rispecchia nel controcanto di miele solo a posteriori rubato a Jesus & Mary Chain e, mentre tutto sembra stare fuori dal tempo, introduce la voce di Ronnie ‘Ronette’ Spector matura e bellissima madre: Ronnie prende per mano la canzone e tuttò ciò che fino a quel momento era leggero diventa grande.
Sentire Ode to L.A. è come rivedere Dirty Dancing e pensare che quando (BeMy)Baby si innamora di Johnny in realtà si sta innamorando anche di Bodhi, il surfista di Point Break. O forse solo di un bel fantasma dotato di un’espressione unica.
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