23.3.05

Human after all


[(Im)perfezione è il modo che ho per descrivere qualcosa di riuscito eppure di umano alla radice e per questo storto, obliquo, (im)perfetto]

In Piemonte c’è un liquore che si chiama Bicerin. Il Bicerin è un liquore di gianduiotto e in potenza sarebbe qualcosa di perfetto, l’unione di due grandi passioni quali l’alcool e appunto il gianduiotto. Non è così, almeno per me. Quando ho saputo di 13 & God ho avuto paura di potermi trovare davanti a due (im)perfezioni che non avrebbero fatto una (im)perfezione. 13 & God sono infatti i Notwist, ovvero melodie e canzoni in elettronica minima, e i Themselves della Anticon, ovvero l’unico approccio non strumentale che riesco a reggere nell’hip hop attuale. Per essere brevi 13 & God non è il Bicerin che temevo.

All’inizio una parte è più rispettosa e al servizio dell’altra: in Low Heaven i Notwist si occupano del crescendo del prefinale e dei cori, mentre in Men Of Station i Themselves sono presenti come controcanto a una canzone che recupera le visioni di treni e locomotive giocattolo dei Notwist. Se Ghostwork prosegue con questa idea dell’alternanza, quasi che gli addendi fossero lì ancora prima del segno di uguale, arriva Perfect Speed a fugare il dubbio: Notwist con beat hip hop teso alla velocità di insetti ronzanti. È la (im)perfezione che cercavo, nella sua veste forse più immediata. Più immediata perché il disco riserva altre sorprese come le melodie degli uni che si impadroniscono del rappato degli altri (Afterclap o la commovente Soft Atlas), come le voci che si compenetrano e confondono e vengono spezzettate in frammenti, come gli inni all’incerto dei se, dei condizionali e di ciò che non è urlato e chiaro (If), come Superman che fa pattinaggio su un ghiaccio troppo sottile descrivendo lenti archi, mentre vicino ai pattini si solleva minuscolo il freddo in polvere.

13 & God è un disco di gente fica in un momento di malinconia e incertezza e chi è fico (nota, non chi fa il fico) lo è anche in quei frangenti, triste forse ma pronto a guardarsi dentro e a fronteggiare le cose o a sfuggire, se necessario, per poi tornare. Un rapper che dice I don’t exist non è una contraddizione, è la negazione di una macchietta, la sostanza che i catenoni d’oro faticano non solo ad essere ma perfino a rappresentare.

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