12.11.05

I heard it all before


(Entra in un negozio di dischi)
- Senti, vorrei una copia di Confessions on a dance floor di Madonna.
- C’è una pila di cd lì, accanto alla sagoma cartonata. Non l’hai vista?
- Sì. Ma volevo “dire” l’acquisto di questo cd, sancirlo davanti a un testimone.

Il primo ascolto degli mp3 del nuovo della Ciccona e di Jacques Rhythm Digitales Lu Cont è stato circondato da abbondante distrazione, perso com’ero nel (tragitto verso) la preparazione di un bagaglio minimo per un breve ritorno alla casa natia. Un’impressione sostanzialmente positiva, come positiva può essere l’impressione di un primo ascolto più distratto del solito. Poi in serata mentre ero impegnato nel solito interminabile viaggio in pullman l’illuminazione. Ero immerso in un adagiato primo ascolto di Cripple Crow di Devendra Banhart (cheppalle, però Pensando Enti è una gran bella canzone) e di The Greatest di Cat Power (ci devo pensare), ma in mente avevo solo una cosa, una canzone anche comica su quant’è fica New York*. O meglio, mi attraversavano le orecchie certi suoi sintetizzatori e io immaginavo remix in cui questi sintetizzatori diventavano sempre più acidi e striduli fino a colorare i miei auricolari e le doppie punte di Devendra e il nasino di Chan.

Insolitamente assonnato seleziono sul lettore Confessions e nel mio rallentamento di sensi colgo particolari. Colgo particolari, non diversamente da tutti i recensori che si stanno esercitando nella grande caccia al tesoro che è questo disco. Per esempio quel rumore di contenitore effervescente che si apre. È solo un indizio, ma in Sorry c’è lo stesso rumore che c’è in Guilt is a useless emotion dei New Order e ci pensi, potresti quasi mixarle. Corri sul lettore ai New Order e ti accorgi che il beat del ritornello è identico e solo dopo un giorno scoprirai che anche quel pezzo dei New Order era prodotto da Stuart Price. Ma non siamo dalle parti dell’auto-riciclo, e nemmeno a dirla tutta dalle parti del raffinato gioco a incastro post-moderno. Confessions non è l’Endtroducing della discomusic, ma la celebrazione dell’arte fagocitatoria della musica dance. Si pensi al singolo Hung Up: Madonna nel ritornello canta le liriche di un suo vecchio pezzo scritto con Prince, su una melodia che sembra quella di I heard it through the grapevine, mentre Price fa di tutto con un campionamento degli Abba. Poi è normale che il solito fan scassapalle dei Pink Floyd arriva e dice che la sveglia è presa da Time. Non rendendosi conto che quella, è una sveglia, un ticetac. Manca solo che pensiate che il don't cry for me sottintenda l'Argentina.

Insomma, per quanto il “Perdonami” possa assomigliare al “Chiamami”, gli assomiglia non come rimando ma nel suo essere espediente. La cosa affascinante è però come questa programmatica somma di vinile sintetico, eurodisco e persino dance anni Novanta riesca divertente e non austera come una Losing My Edge, uniforme come un dj set e soprattutto votata a far ballare. Persino nel fondo negativo della versione trash di Frozen col rabbino di Isaac ci sono quelle chitarrine che fanno così taaanto Jam & Spoon. Tanto subito dopo parte la genialata, battuta hip-hop e Madonna che canta Every Breath I Take sulla melodia di Like A Prayer. Uno stomaco che si autodigerisce. Persino gentilmente autoironico quando chiude con un arpeggio di chitarra acustica. You Can Dance, come dicevano gli Abba, ma anche Madonna.

*Phones, Alkan, Murphy e 2ManyDJ’s, se passate di qui, ci siamo capiti.

Talk is cheap

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