8.1.06

Ho quasi sottomano i samba riguardanti a felicidade


Se dovessi scegliere una opinione sulla data barese dei Baustelle, la mia sarebbe a metà tra quella di Antonio e quella al solito molto indie di delio, ovvero un concerto in cui con qualche eccezione ho cantato dall’ìnizio alla fine in italiano epperò non privo di nuovi difetti, credo irreversibili rispetto alla prima volta in cui li ho visti.

Sgombriamo innanzitutto il campo dalla presenza più ingombrante, quella del pubblico. Il posto era pieno come ultimamente soltanto per i Blonde Redhead, ma solo in minima parte credo che questo sia dovuto all’effetto major: è vero, passano ovunque e ho letto recensioni positive de La Malavita persino sul magazine di Trenitalia (fate un salto in stazione se non ci credete), ma credo che questo fattore abbia influito almeno quanto il fatto che il concerto si tenesse alla chiusura del periodo festivo, momento che attira notoriamente molto pubblico come nel caso dell’anno scorso con Solex. La spiegazione migliore viene invece dalla moltitudine intorno che richiedeva e cantava dall’inizio alla fine i pezzi più vecchi, testimone della presenza di uno zoccolo duro che non ha esitato a provenire da tutta la regione. Altro discorso invece sono le manifestazioni stile Festivalbar (la ragazza sulla spalla del ragazzo, le ragazzine sotto il palco che indicano Bianconi quando in Gomma dice “Vorrei scopare con te”, i cd e i bigliettini regalati alla fine a una Rachele intrappolata per una buona mezzora dalle pubbliche relazioni a bordo palco, con Bianconi che fa capoccella dall’ingresso camerini perché se ne vuole andare e io che le urlo “Basta!” mentre il sodale va a farsi firmare la scaletta).

Per quanto riguarda il giudizio di merito, l’appunto principale che faccio è che in una situazione di simile delirio e folla osannante i Baustelle rimangono ingessati in una scaletta striminzita e non si rendono conto che ormai hanno il materiale per essere generosi quando il pubblico merita. Bianconi giochicchia col “Cosa volete ora?”, ma alla fine la sua domanda non può che essere quella di un ridicolo quiz. Ha indovinato la ragazza lì sulla sinistra. La prima volta che li ho visti eseguirono quasi tutto il loro repertorio, oggi una buona metà di quel concerto è sacrificata alla metà buona de La Malavita.

Se sul piano dell’interpretazione Bianconi fa passi avanti (ma dimentica parte del testo già ne I Provinciali, prima canzone, e comincia a sfruttare il pubblico quando non ce la fa), Rachele accusa solo qualche sbavatura ne La Canzone del Parco e un’amplificazione leggermente bassa. Purtroppo la grande perdita, forse anche dovuta all’uscita dal gruppo del tastierista originario, è quella delle sfumature elettropop, una delle componenti che più mi facevano amare le prime cose del gruppo, quella della tangenza bambina alla vacua Nada dell'Amore Disperato e a certi Pulp. In questo senso, se La Canzone del Parco acquista un finale migliore e virato allo shoegaze, Arrivederci viene deturpata da orrendi chitarroni totalmente fuori luogo. Tra le nuove, A Vita Bassa continua a farmi male nel suo essere una bella musica con un terribile istant testo, la splendida Il Corvo Joe è risultata piantata su se stessa e priva di respiro invece di sfruttare la sua propensione all’andante che si libera nel ritornello (immaginiamo ciò dovuto alla programmazione), mentre ritengo tremendo che qualcuno possa ritenere la frase alla fine di Un Romantico a Milano degna di essere urlata come slogan (LEGALIZE ZION, WE’RE JAMMIN'!).

Questa insomma la lista dei difetti, da integrare coi pantaloni in similpelle di Bianconi e la giacca di similbroccato di Rachele. Lista che non mi ha certo impedito di urlare e saltare sottopalco su Gomma e (quasi) tutte le altre, ma che conferma le mie impressioni sull’involuzione del gruppo dal punto di vista sonoro. Alla fine del concerto acquisto a prezzo di negozio la ristampa del Sussidiario e mi accorgo che sul bollino SIAE c’è scritto “Omaggio a Francesco Bianconi”. Ho dimenticato a casa la macchina fotografica, ma se ne poteva fare tranquillamente a meno.

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