Azionismo viennese
Italiani, italiani quasi dappertutto, forse li evitiamo solo quando andiamo a ballare. Siparietti comici uno dietro l’altro: l’impiegata trentenne veneta che zompetta su rumorosissimi tacchi insieme a due ottuagenarie al Belvedere, fermandosi per un microsecondo esclusivamente davanti ai Klimt per urlare ad alta voce “Questo è famoso! Quindi bellissimo! Splendido! Questo ce l’abbiamo appeso nell’ufficio!” e fuggire di corsa via verso l’uscita, incurante del resto; la palermitana al Beisl che col marito prima tortura tutti i vicini di tavolo austriaci per decidere il suo pasto e poi si rivolge per un cambio portata a piatto servito e in italiano (“Non è che per caso this io posso”) a una già sadica oste che letteralmente la zittisce, secondo tradizione delle migliori trattorie di tutto il mondo, una sorta di Gabriella Ferri quarantenne che ti chiude il menù quando provi a chiederle il dessert, tanto poi decide lei quando.
Il rischio del racconto di una settimana a Vienna è questo insomma, quello della cartolina del turista, quello dei posti che tutti visitano (anche se con grazia diversa), quello del menù fagocitato*, quello di chi poi non renderebbe bene con la scrittura i suoi dieci minuti davanti al Bacio, se non in una maniera appena meno comica di quella della trentenne veneta. Parlerei di Sissi, pardon, Sisi, che beveva succo di carne e preferiva il rumore del mare in un crescendo di kitsch, scandito dalla pronuncia sostenuta e involontariamente comica dell’audioguida.E poi la farei troppo lunga e non è escluso che la faccia, magari su argomenti specifici**. Pensatemi come Gerstl che ride di se stesso.
Limitando allora il racconto agli interessi di questa pagina, la sera successiva al nostro arrivo siamo andati al Flex. Vienna ha una serata rock quasi per ogni giorno della settimana, oscillando tra l’alternativo vecchio stampo e il giovanilismo, ma visto che la nostra pensione era a due passi abbiamo scelto il locale sul Dokaukanal nei pressi del Zentrum. Non vi stupisca che l’indirizzo del luogo sia il Dokaukanal con indicazione dell’appropriato ponte: vi dico solo che abbiamo esclamato “I Murazzi!”. Entrando dentro alla destra c’è il Flex Café, ovvero una serie di tavolate stile mensa dei poveri, schifosamente fumosa da non poter respirare, percorsa per lo più da sonorizzazioni electro (quando siamo entrati il dj passava una cover di – dannata smemoria, ho dimenticato). A sinistra c’è il vero e prorio Flex che è una specie di versione con gli steroidi del corridoio del Covo, con il bar a lato, il palco e una trappola per topi anche nota come guardaroba, dotata di bigliardino per l'attesa.
La serata London Calling ha una parte iniziale tra le undici e mezzanotte che è la più propriamente indie, quella ancora a pista vuota. Quella in cui noi ci alziamo non appena sentiamo le note iniziali di Upon This Tidal Wave Of Young Blood e occupiamo il centro della pista, incravattati cantanti e sorridenti. Non sono particolarmente loro amante, ma fin dall’inizio considerai questa tra i loro episodi che preferisco, soprattutto per ballare, nonostante lo scontroso duetto testo-melodia. Questa canzone va tantissimo in Austria al punto che trova posto nella schizoide programmazione della radio che a colazione ci allieta, capace di alternare il nuovo Mogwai a Ramazzotti, passando per i Clap Your Hands appunto e Pharrell. Tre personaggione tormentano il dj con improbabili richieste e si è traghettati verso la serata vera e propria da Rakes e nuovi Strokes. Noi non restiamo oltre le due e mezzo, anche perché la sera prende una piega a metà tra l’emo e la sequela di cloni dei Killers (non pensavo potessero esserci, ma l’aria era quella). Ci convinciamo che la serata risenta della vistosa bassa età media del pubblico (ah, le scuole chiuse per Natale!), presentatosi in massa in assetto da abbordaggio forzato, ovvero gruppi rigorosamente di tre/quattro ragazze o di tre/quattro ragazzi. Mentre riprendiamo i cappotti, un giovine arrivato in quel momento decanta le lodi della cravatta squadrata e lunga appena regalatami per Natale (“It’s so sixty! Where did you find it?”) e io indico la colpevole al mio fianco.
In Austria hanno GOTV, una televisione di selecta in cui la programmazione è affidata ad artisti, locali, riviste etcetera. Così capita che nella serata del giorno successivo la selezione di una webzine del luogo tiri le somme del tuo 2004 musicale, con uno scarto temporale che rende la cosa inquietante.
A Capodanno dopo aver assistito a una cover di Gimme Hope Johanna da uno dei palchi seminati per il Zentrum e dopo aver ballato il valzer d'ordinanza, siamo tornati al Flex, dove era in programma la selezione rock fino alle quattro e quella electro a oltranza. La prima mezz’ora passata nella trappola per topi del guardaroba rende chiaro l’andazzo della serata, miracolosamente in equilibrio tra il festaiolo spinto e qualche chicca, tra i classici e le cose più nuove. Non è una selezione ardita, tutt’altro, ma è un piacere vedere tutti ballare senza sosta il DFA remix di Goldfrapp e gli Interpol, London Calling e i Franz Ferdinand nel remix di Erol Alkan, gli Editors e The Boy With The Arab Strap, il Phones remix dei Bloc Party e gli Of Montreal del party che fa crash. Manca purtroppo Madonna, forse suonata prima o dopo, comunque ovunque in Austria, dai sound system dei triangoli dove vendevano punsch fino alla sonorizzazione del Café Sacher. Cantiamo le menzogne ribelli degli Arcade Fire sotto la veglia attenta del nostro guru, un anziano che fende lento l’aria in pose plastiche e ci ritiriamo all’inizio della sezione electro al suono del Tiga remix di Tribulations. La colpevole di cui sopra trova anche il tempo per farsi abbordare da un sedicenne grazie alla cravatta pseudoregimental presa in prestito dall’armadio dello zio, mentre precedentemente io, nonostante non fossi cravattato, avevo attirato le grazie di una valchiria di rosa vestita, che prima non si dava per vinta e poi andava in isposa ad un ragazzo con i capelli da studente di Talmud. Sapete insomma come fare colpo lì, anche se H&M sta iniziando a vendere cravatte strette, per cui presto bisognerà passare a qualcos’altro per attirare l’attenzione. Lasciamo alfine i Murazzen, convinti di essere stati nell’unico luogo al riparo di turisti italiani in quel di Vienna.
Il giorno della partenza la strana radio prima si inerpicava sui rami di un involuto e impolverato drum’n’bass, per poi virare verso la cover di Oh Mandy degli Strokes e chiudere su 16 Military Wives dei Decemberists. Sull’aereo la selezione casuale chiudeva il cerchio, ancora una volta con Upon This Tidal Wave Of Young Blood.
*Schweinenbraten rind/erdapfelgulash frittatensuppe tafelspitz semmel frankfurter knodel sauerkraut palatschinken mohr im hemd schnitzel wasabi. Gli zakouskis non esistono.
**Mimmo Rotella sparato a tutto volume, mentre a lato è tutto un cling clang sincronizzato e temporizzato e chissà che fanno sotto le lenzuola di plastica di Christo mentre i manifesti si staccano uno sull’altro, viene in mente De Fonseca, delude l’esigua Pop art, si spargono ormai innocue e noiose frattaglie azioniste sul piacere per l’albero di Magritte. È il MUMOK dove per San Silvestro organizzano un veglione con la formula “bevi finché puoi”.
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