Quattro giorni prima che le cose (ti) cambino
Giovedì, concerto: Il gruppo con gli occhiali strani
Il mio secondo concerto jazz-core in meno di un mese mi conferma che il genere riesce bene quando lo scherzo e il gioco evitano gli effetti nefasti di una miscela cervellotica. Gli
Bzbzueu (se vuoi sentire,
sentili) leggono da un foglietto tra un pezzo e l’altro, ma secondo me sul foglietto non ci sono i nomi delle canzoni, c’è scritto quando devono mettersi gli occhiali strani. La loro sassofonista ogni tanto suonava contro un angolo, come se fosse in castigo, dando le spalle al microfono: più che a una ricercata trovata sul rapporto artista-pubblico, mi ha fatto pensare ai ragazzini che ripetono la poesia a bassa voce prima di dirla davanti a tutti. Alla fine un divertentissimo punkabbestia barese ha cercato di riportare il gruppo sul palco per una canzone al grido di “Eddai, fatene un’altra, così la registro sul cellulare”.
Nell’antefatto del concerto si è discusso di tutto un po’. Io e un indieblogger sodale del quale non rivelerò il nome nemmeno sotto tortura abbiamo sparlato in tono cospiratorio degli Offlaga Disco Pax. Tantissime ragazze parlavano in tedesco.Ah, a proposito, quando
delio parla in tedesco pronuncia le parole italiane come le pronuncerebbe un tedesco. Io invece sono quello che: mi viene presentata una ragazza di Dortmund, lei mi chiede se conosco Dortmund e io rispondo “Certo, Borussia Dortmund”.
Il giorno dopo una ragazza che lavora dove porto avanti il mio master mi ha invitato a ballare latino-americano. E invece
Venerdì, cinema: Film-acher / L’autunno del nostro discontento
Peggio di una ragazza che ti invita a ballare latino-americano c’è una ragazza che sostiene la necessità di una serata più varia, un po’ latino-americano, un po’ house e un po’
divertentismo. Il
divertentismo come genere codificato esiste solo a Bari, ma se siete milanesi potete immaginarlo come il sabato sera al Loolapaloosa sul tardi (quando sono già tutti ubriachi) o il venerdì sera al C-Side ex Propaganda (lì ci vanno i trentenni-quarantenni e loro il divertentismo lo reggono anche da sobri). E invece io ho preferito il cinema etn(ord)ico disadatattato.
Alla rassegna
Filmaker hanno dato dei titoli alle giornate: la prima si intitola
L’inverno del nostro discontento ovvero film su gente che ha freddo e per questo se ne vuole andare da dove abita. Capita a fagiuolo, tranne che siamo in autunno e qui si gira ancora con le maniche corte. Nonostante delio abbia sostenuto via mail la spendibilità del film tagiko d’apertura in una possibile futura conversazione colta, ho preferito attardarmi a casa per una cotoletta. Non so perché ma associo alla parola “tagiko” le pernacchiette fatte con l’ascella. Venite anche voi in Tagikistan, il paese delle pernacchiette fatte con l’ascella!
Il secondo film è
Lilja 4-Ever, svedese ambientato in Russia e Svezia. Avevo apprezzato in passato la mano leggera con cui Lukas Moodysson descriveva il disagio giovanile. In L4E invece Moodysson non ne azzecca una. In sintesi il film segue le vicende di una sedicenne russa fan delle T.A.T.U. non brava a scuola che viene abbandonata dalla madre, che è costretta dalla zia a vivere in un tugurio, che sniffa colla e beve sciroppo per la tosse, che inizia a prostituirsi, che viene violentata da un cliente, che trova un fidanzatino che la fa andare in Svezia non prima che la violentino alcuni ragazzi del quartiere, che in Svezia scopre di essere stata venduta dal fidanzatino come schiava sessuale per vecchi deformi e che alla fine si suicida. Per dare un’idea, a un certo punto Lilja regala un pallone da basket a Volodja, amichetto maltrattato dai genitori e futuro suicida per suo amore: il giorno dopo il padre di Volodja taglia in due il pallone senza alcun motivo. Vi giuro che a un certo punto mi aspettavo che in puro stile surrealista Moodysson facesse entrare qualcuno in sala che dicesse “Lilja, non hai pagato il biglietto, vai fuori dalle balle!”.
Lontano dalla poetica della sfiga di Von Trier, il regista in un primo tempo si affida alla cazzimma documentaristica, adottando i precetti del Dogma solo per tratteggiare i personaggi: la povertà culturale-materiale viene resa con non-recitazione, non-battute e una piattezza fastidiosa almeno quanto gli zoom sulle facce dei personaggi. Meritevoli invece le citazioni dei video di musica techno russa durante le sniffate di colla. In un secondo tempo, preso dal suo intento di denuncia, Moodysson spinge in maniera sempre più estrema la violenza affiancando a questo un binario che nemmeno l’autore medio di una fiction RAI oserebbe pensare: l’amichetto suicida che torna in forma di angelo con tanto di ali erette. Taccio sulla scritta alla fine del film. Dopo un’ora e mezza di simile strazio apprezzerei qualunque cosa.
E il qualunque cosa si presenta sotto la forma di
Noi Albinoi, film islandese su un giovane albino disadattato. Se conoscete musicalmente un po’ l’Islanda, la troverete fedelmente riprodotta qui: freddo dal punto di vista visivo, ma delicato; introspettivo di minimo e superfici. La svolta finale e due o tre scene da comica lo elevano al di sopra del remake nordico di
Forrest Gump. La colonna sonora originale ricalca i piacevoli dilatati di certi Sigur Rós e quando si entra in macchina con Noi troverete di tutto, dal reggae al death metal. Menzione anche per la bellezza della protagonista femminile (era una cosa che avevo sempre sognato di dire (non intendo la nonna)).
I due film avevano un nome nel titolo e descrivevano anche dei luoghi. Questo mi ha fatto pensare una cosa. Io non so descrivere le persone che ho conosciuto e i luoghi che ho visitato. Deve essere una sorta di vendetta storica del destino nei confronti della mia abilità nel giocare a nomicosecittà. Durante il ritorno a casa ho beccato su Radio3 una gustosa diretta del concerto dei Pan Sonic e ho girato a vuoto in macchina finché non è finito. Il giorno dopo la rassegna è continuata con la giornata
Le Regole Dell’Attrazione, piatto forte il film
La Moglie Dell’Avvocato. E invece
Sabato, discoteca: Istuest
Ma gli Zerozen li ricordiamo solo io e
Red Ronnie? E invece siamo andati in un posto il cui anagramma è Zerozen a vedere Richard Dorfmeister mettere i dischi. C’è qualcosa di sbagliato in ciò, non si va a vedere il set di un dj: un dj o ti fa ballare o si occupa del sottofondo per le tue chiacchiere. I pochi che sono andati lì per vedere Dorfmeister si potevano riconoscere perché, dopo essersi salutati tutti tra di loro, stavano immobili rivolti verso la consolle, commentando ogni tanto col vicino. Intorno, gente vestita con altre (dubbie?) velocità, danzava incurante. Non so se ricordate, ma a me tutto questo rimandava al bellissimo quinto pezzo del secondo cd delle K&D Sessions,
Boogie Woogie, quello che il Windows Media Player chiama in maniera incorretta
Eastwest [Stoned Together]: gente che va al rallentatore circondata da mucchietti ipercinetici, come in un pessimo video musicale. Fatto sta che Dorfmeister, lì insieme a uno dei Madrid De Los Qualcosas, invece di fare Dorfmeister ha messo una selezione di piatta house music (no, delio, le ultime cagate riminesi sono ben altre cagate). A Dorfmà, ma quant’eri figo su la copertina der g-stonato e quanto ce pari un chiatto turista austriaco in vacanza, mo’. Il dramma però è che io avrei anche ballato se non fosse stato lui (ehm, c’ho lo stomaco un po’ forte, forse). Il giorno dopo c’è stato il concerto di Patti Smith a Bitritto, che sarei andato a vedere perché non sono l’indieblogger che mi dipingono, signora mia. E invece
Domenica, treno: Meet Next Life
E invece ho preso un treno. Quando vuoi essere conscio e sicuro di fare una scelta, prendi un treno. Sembra lo slogan di una pessima pubblicità, anche perché potresti prendere benissimo un aereo, una nave o la tua macchina per quella cacchio di scelta. Però il treno è funzionale alla scelta perché non ti fa dormire, perché dilata le distanze e ti vengono in mente i pro e i contro. In aereo è diverso, forse è simile soltanto quando non danno i cracker e il succo d’ananas a metà viaggio. Sul treno però non sono riuscito a fare niente di quello che avevo in mente: la lucetta personale del compartimento era rotta e non ho letto quello che volevo leggere. Ho dimenticato le batterie ricaricabili nel caricatore e non sono riuscito a canticchiare
Ticket Out Of Town di Styrofoam prima di partire (phew che fortuna, non ho ancora capito quello che dice).
Lunedì, colloquio: Epilogo
Sono diventato un progettista elettronico e in contemporanea un uditore esterno del master che stavo frequentando. Posso decidere se fare per un’ora lo straordinario o no. Starò a Bari per un po’, forse ogni tanto mi potrebbe capitare di fare un salto a Torino. Mi hanno fatto fare anche il passaporto per ogni evenienza. Perderò qualche concerto che avevo in mente di vedere durante novembre e dicembre. Io però i Decemberists me li vado a vedere lo stesso, a Firenze.