Certi concerti e certi dj-set hanno un potere così rigenerante che li si vorrebbe a portata di mano come un qualsiasi prodotto farmaceutico da banco per i momenti più bui, come una ricarica telefonica senza costi aggiuntivi secondo quanto stabilito da recente decreto-legge. Invece ci capitano tra i piedi come rivoluzioni inaspettate. Mi rendo conto però che la facilità di accesso provocherebbe di contro il danno massimo dell’assuefazione. L’unicum dell’arte rivoluzionaria diventerebbe il continuum dell’alimentazione, quasi un cibo.
More songs about food and revolutionary art, diceva Lui. Eppure oggi per noi è difficile concepire l’arte in termini di rivoluzione o l’esistenza in termini di ricerca del cibo. Il secondo è più o meno assicurato, la prima più o meno impossibile. Le nostre rivoluzioni sono al massimo ricariche. Con la funzionalità e la piccolezza che ne consegue. Per questo non si può mancare ai rari momenti di rigenerazione, ovunque questa accada.
Per questo ‘ovunque’ mi sono beccato in privato da
delio un “Sei il Bettino Craxi della dance”, e un bacino sul pancino. Un luogo non esattamente nelle corde mie e di chi mi legge, ecco. Se poi aggiungiamo che io mi reco alle due nella dependance estiva di questa discoteca fighetta da solo e vestito da impiegato del catasto giapponese, abbiamo la perfetta scenografia dei dialoghi che qui seguono.
(vado verso le transenne e noto due mucchi: il primo composto da cinque o sei pr, il secondo formato da una decina di omoni larghi un metro e alti due totalmente vestiti di nero. Mi dirigo verso i pr, che ovviamente non conosco)
Io: ciao
Pr: sei in lista con qualcuno?
Io: ehm, no
Pr: allora parla con loro
(cazzo, ‘parla con loro’ sembra un remake di Rokko Smitherson. Sono frecato)
Io: ciao, posso entrare? (senza fissare nessuno in particolare)
Buttafuori: si entra solo a coppia
Io: ma devo scriverne per il mio sito internet
Buttafuori (prende le distanze, io in queste cose non ci voglio entrare): ah, ma se è roba di internet devi parlare con loro (e mi rimanda ai pr)
(torno dai pr)
Io: Mi hanno rimandato qui, è che voglio scriverne sul mio sito internet
Pr di prima (prende le distanze, io in queste cose non ci voglio entrare): di internet si occupa lui (e indica altro pr impegnato in un’altra discussione)
(qualche secondo)
Pr di prima: puoi entrare, dai
Io: (vai)
Pr che si occupa di internet: no, aspetta qui (continua la sua discussione, qualche secondo e poi si rivolge a me)
Io: l’ho visto pure a Torino
Pr che si occupa di internet: ma è un sito personale?
Io (penso alla parola blog): sì
Pr che si occupa di internet: ah, puoi andare
Io: perché
Pr che si occupa di internet: no, volevo sapere se era una qualche iniziativa editoriale. Su, puoi andare
Io: (vado)
Dentro per una buona mezzora mi annoio nella zona hip-hop. La cassiera mi chiede ‘di dove sono’ e mi rendo conto per l’ennesima volta di sembrare un po’ fuori posto. Una delle tre aree è ancora chiusa, ma nel frattempo apre la sezione house. L’house attuale non è proprio cosa mia e attendo tempi migliori, per me e per l’house. Proclamo mix più ruffiano della stagione il passaggio da
Heater di Sanim (una versione trash del Villalobos etnico) a David Guetta. Il dj infila di seguito poi un remix 2007 di
Born Slippy e una versione dream-house de
Il Cielo In Una Stanza con vocalist che incita ai cori. Quando il dj passa la mano a un collega, capisco che Carl Craig non si aggancerà alle immortali parole di Gino Paoli e allora fuggo, attraversando la zona hip-hop dove Justin Timberlake gorgheggia su synth a 8-bit fichissimi di Timbaland (
Lovestoned? il pezzo di Busta Rhymes? Boh).
Carl Craig entra vestito da diavolo rosso del baseball dal retrogusto europeo. Collega il suo armamentario alla precedente selezione minimale con l’arpeggio di
Like A Child dei Junior Boys: ovvio verrebbe da dire, per contrasto lui insisterà su ‘I've got the end in sight’. Invece a differenza del remix su disco propone una versione live senza parole tutta giocata su bassi che saranno i protagonisti dei due pezzi successivi. Nel rovescio delle parti così lancia il remix della tipa delle Sugarbabes nella versione cantata, a dir del vero meno bella rispetto alla dub: quando la cassa si ferma torna però all’ovile dub e la Siobahnna risplende della maestosa frammentazione della sua voce. Pur essendo ospite in una rassegna chiamata ‘Selezione House’, Craig se ne infischia e infila un granito techno dopo l’altro, passando per l’inframezzo di
Falling Up fino all’arrivo a metà set. Una gigantesca coppia di indice e pollice mi prendono per la camicia da impiegato del catasto giapponese e mi trasportano su una grattugia da formaggio gigante dove vengo spostato avanti e indietro sui solchi acuminati e ruvidissimi: è il remix di
In The Trees dei Faze Action in tutto il suo splendore prima grattugiante col sintetizzatore e poi ricomponente con gli archi. Cibo e arte rivoluzionaria. Nella bolgia mi direi ampiamente rigenerato, ma non è ovviamente finita qui. CC sposta il set su binari più ritrosi e lascia respirare la pista (ehm, la dirada un po’, ecco). Riprende le fila con un pezzo cantato (la sua
Last Call dei Brazilian Girls, ma non ci giurerei) e butta lì sul piatto
Mouth To Mouth di Audion. È il macello: non si capisce più niente, la pista si affolla, la gente urla, fa caldo e ho l’ennesima conferma di come le produzioni a nome Audion siano quanto di più malato e perverso nel sobillare gli animi del dancefloor. A metà pezzo mi balena per la mente il dubbio su come si tirerà fuori da tale esaltazione collettiva. Sollevo gli occhi e non lo vedo:
Mouth To Mouth rende così pazzi e dura così tanto che ci si può permettere di assentarsi (per esempio per andare in bagno senza che nessuno se accorga?). Quando torna è quasi finita e la mixa con rapidità con il remix (non il Tocadisco, non il Masters At Work, uno anni Novanta forse suo?) di
Mas Que Nada. Io rimango interdetto, ma intorno funziona e l’intento nella scelta del titolo è forse persino anche ironico. È la porta verso la parte del suo set più ai bordi dell’house in cui su atmosfere a metà tra
At Les e
La Mer Est Grande sbocciano le voci di Cesaria Evora di
Angola e quella pre-conclusiva dei Beanfield di
Tides. Nel penultimo pezzo dimezza la battuta tornando su suoni quasi electro fino alla finale e burbera
Poor People Must Work. Due ore e mezzo e chiude, col buio ancora intorno. I pochi applausi non riescono a scucire un bis e allora prendo la via di casa. Non sono sazio, ma rigenerato per l’autunno sì.
In The Trees (Carl Craig C2 Remix) - Faze Action
Don’t Give It Up (Carl Craig Dub) - Siobhan Donaghy